AULULARIA

 

adattamento di Mario Marchi

con Vittorio Ristagno,

Andrea Benfante, Paolo Drago, Francesco Patané, Arianna Comes

Regia Daniela Ardini Mario Marchi

Aulularia di Plauto, nella riduzione di Mario Marchi per la regia di Daniela Ardini, è una restituzione inventiva ed equilibrata dell’antico pezzo di teatro giocato sul tipo dell’ Avaro.


Plauto inventò la maschera comica dell’avaro avarissimo, la rottura clamorosa dell’ illusione scenica, con il protagonista che interpella il pubblico, i meccanismi dell’ equivoco verbale. Inventò moltissimo, tanto che la sua “commedia della pentola piena di oro” fu modello parziale di titolo e trama della “Cassaria” di Ariosto, e del rinascente teatro italiano. Il problema sta nella linearità della scrittura, nell’appena sfiorato ‘affondo’ dei caratteri, nell’ assenza di finale (il codice è mutilo) nella brevitas della geniale commedia. Fu riscritta, infatti, e “L’avaro” di Moliére, pur seguendo dappresso, spesso alla lettera, Aulularia, è un assoluto capolavoro. Plauto invece è ammiratissimo è studiatissimo, ma in fase di allestimento è spinoso, esige idee brillanti. La commedia è stata allestita così come facevano i Romani, parti recitate e parti cantate per ridare ad Aulularia i colori del musical. Il prologo, così, quadruplica i geni familiari, che cantano sulle note di “Illusion~ dolce chimera” la storia dell’avaro punito e della figlia devota. Euclione è capace di cantare, danzare e mettere allegria, un avaro filtrato attraverso Gelli e Goldoni, un avaro affettuoso e sbavante col suo amato, coccolato oro, un vero piezz’o core. L’antenato latino è più diretto e virile, questo più affettuoso, la pentola è sempre sul suo seno, e lo stordimento erotico vuole divertente. Alla pari della serie di canzoni anni ’40 e ’50, popolari e adattissime alle gag della commedia.

Alcuni interventi capovolgono la scena plautina, vedi la scena tra i due anziani fratelli, statica in Plauto, dinamica assai nella soluzione della Ardini, che disegna una scenetta gustosa là dove l’originale non diverte per niente.

Margherita Rubino